Una lunga nuotata

Una lunga nuotata

Di Chiara Rossi, Macabor, 2020

Questa volta procederò in una maniera leggermente diversa dal solito: scoprirò qualcosa anche io, insieme a voi. Gli incontri casuali, alle volte, sono quelli che più ti arricchiscono, quelli che ti portano ad esplorare orizzonti ai quali da solo probabilmente non saresti arrivato o per i quali, molto più semplicemente, non avevi occhi adatti.
Un po’ quello che succede a me, quando mi contatta Chiara Rossi per parlarmi del suo ultimo testo, Una lunga nuotata, che è un’opera teatrale. Territorio per me sconosciuto. Ma le avventure, nella vita e nei libri, sono sempre un momento di profonda crescita.

“Il testo teatrale Una lunga nuotata di Chiara Rossi si sviluppa attorno alla narrazione portata avanti da tre donne che si scoprono co-protagoniste di una medesima storia.
Dalya, Lucilla e Metella, inconsapevolmente legate da un destino comune, grazie alle parole che cadono dalle situazioni, recitano la loro parte nella scena della vita.
Alla fine, da quella lunga nuotata quale è stata la vita di Dalya, la protagonista, si comprende che al di là di allusioni, illusioni e delusioni esiste comunque una quinta stagione: quella che appartiene alla scelta di viverla come ognuno poi la crea.
E che, in fondo, il mondo stesso è anche uno spettacolo da apprezzare e non solo un problema da
risolvere.”

Vi lascio con le parole che Ivano Mugnaini ha trovato per questo testo: così profonde e centrate. Sono sicura che sapranno risvegliare la vostra curiosità, solleticando l’animo della scoperta, così come è accaduto a me.

“Nel panorama teatrale di oggi è raro trovare coniugati tra loro il valore artistico di un’opera con la sua valenza filosofica ed etica”. Inizio questo scritto citando un brano dell’introduzione di Violetta Chiarini. L’introduzione ci accoglie all’ingresso del libro, con un sorriso sobrio e generoso, e con l’atteggiamento schietto di chi sa di proporre ai visitatori un lavoro di reale spessore e consistenza, non improvvisato, non inconsistente. Con grande eleganza e con altrettanta chiarezza e profondità, Violetta ci invita a sederci e a leggere. Verrebbe fatto di dire a sederci ed ascoltare. L’introduzione è il primo ambiente, la prima artistica sala che ci troviamo di fronte. E, davvero, viene voglia di accomodarci su una poltrona e predisporci a ricevere parole ed emozioni che si collocano nei territori di confine tra il tempo attuale, un’epoca passata che riemerge vivida e un tempo che sublima e trascende le barriere cronologiche. A metà strada, anche, tra la realtà odierna, con le sue molte miserie e i suoi rari, salvifici splendori, e una realtà altra, mediata ed evocata dall’arte, dalla generosità, da ciò che eleva il singolo uomo e l’umanità intera.

L’introduzione di Violetta Chiarini è la prima perla di questo volume. Altro valore aggiunto del libro è la copertina di Verde Maria Bandini, che in un’immagine ha saputo riassumere e tradurre visivamente il legame profondo tra le tre figure femminili e i loro destini. È significativo e coerente che sia l’introduzione che l’immagine di copertina non siano solo abbellimenti estetici. Si tratta, al contrario, di elementi assolutamente utili, finalizzati alla comprensione e concomitanti all’evocazione dell’atmosfera, della suggestione, di quel senso ulteriore che incarna la magia del teatro e dell’arte in genere.

Di perle il testo di Chiara Rossi ne contiene molte. Si tratta di citazioni, rimandi, aneddoti, riferimenti all’arte, alla pittura, alla letteratura, ma anche a svariati altri ambiti e discipline. La curiosità, onnivora, è il primo propellente della scrittura dell’autrice. La sua cultura, basata non solo su avide letture ma anche sulla conoscenza diretta derivata da lunghi e in alcuni casi avventurosi viaggi, mette insieme dati e stati d’animo, modi di vivere e di pensare, creando connessioni, generando scintille che a loro volta danno luogo ad illuminazioni, fungendo da ponti, da strade percorribili.

Ancora una volta viene fatto di sottolineare la peculiarità dell’approccio drammaturgico e narrativo dell’autrice: la sua capacità, innata ma anche derivante dai suoi orizzonti culturali, di proporre scritti assolutamente attuali eppure collocati, di riflesso ma in modo nitido, in una dimensione temporale più ampia, potremmo dire universale, o comunque in grado di far pensare a qualcosa che si pone al di là del contingente.

“Chiune Suhigara e la sua consorte, Yukiko, dopo averne a lungo discusso, decisero di disobbedire e di assecondare i sussulti della loro coscienza, consapevoli che questa scelta avrebbe compromesso la carriera di lui e forse anche la vita stessa della famiglia. Fu così che per ventinove giorni i coniugi Sugihara firmarono e registrarono permessi di transito: 2.139 visti, che consentirono a quasi seimila ebrei di trovare rifugio in territorio nipponico. Si racconta che prima di partire, Sugihara riuscì ad affidare il timbro del consolato a un profugo che fu in grado di usarlo ancora, per salvare altre vite”.

Le parole di Dalya, una delle protagoniste, ci confermano che l’aritmetica è in grado di diventare narrazione, filosofia, perfino poesia, nel contesto di alcune azioni, scelte, prese di posizione.

Senza togliere al lettore il gusto di scoprire in modo autonomo sia il legame che unisce le vite delle protagoniste, sia la figura di Chiune Sugihara, l’uomo che ha anteposto il valore della vita degli altri alla sua carriera e alla sua stessa sicurezza personale, si possono fare, qui ed ora, alcune riflessioni.

La prima è per così dire di ordine “disciplinare”: poco sopra è stata citata la parola poesia. Chiara Rossi scrive teatro, scrive racconti e dichiara di non scrivere poesia. Tecnicamente è vero. Ma se torniamo ancora alla bella introduzione di Violetta Chiarini e ci collochiamo al suo fianco, concordando sul fatto che dalla lettura di Una lunga nuotata “si evince che ogni esistenza influisce sull’altra, e che, al di là di allusioni, illusioni e delusioni, esiste una quinta stagione”, beh, allora il lavoro teatrale di cui stiamo parlando è, anche, poetico.

Perché la poesia, ammesso che si possa fornirne una definizione, di certo non è solamente andare a capo prima del bordo della pagina. La poesia, non si sa cosa sia, d’accordo, ma se diciamo che è quella “quinta stagione”, quel luogo dello spazio e del tempo che non vediamo ma c’è, quel posto in cui “ogni esistenza influisce sull’altra”, forse ci avviciniamo al vero. O almeno ad un mondo possibile. Un’ipotesi, un auspicio.

La poesia di Una lunga nuotata è racchiusa negli oggetti, nelle azioni, nella cura cui il protagonista si veste o si rade, come a voler tener in ordine la parte sacra e salvabile del suo essere uomo. La poesia sta nella capacità dell’autrice di arricchire il suo testo di richiami ulteriori senza mai dimenticare l’urgenza e l’esattezza dell’azione e dei dialoghi. La pura denominazione diventa in tal modo, senza forzature, senza barocche e pedanti metafore, evocazione, riflessione ed emozione.

Chiara Rossi possiede un andamento saldamente classico, ma sempre ben abbinato ad una moderna immediatezza. E i suoi dialoghi sono credibili, autentici, senza rinunciare al diritto e alla scelta dello scarto, il volo oltre la limitatezza espressiva, rassicurante per molti ma castrante, in grado di annientare gli orizzonti culturali che spaziano da un continente all’altro, da un’epoca storica ben definita ad una connotazione atemporale, o meglio, in grado di abbracciare tutte le epoche e tutte le istanze di vita e di resilienza.   

Un’ultima considerazione si ricollega al titolo di questo libro: Una lunga nuotata: anche noi comuni mortali che non abbiamo il dono dell’eroismo di Chiune Sugihara, e non abbiano né il suo cuore, né i suoi polmoni né la sua mente, qualcosa potremmo provare in ogni caso a farlo. Come lettori, in primis, e, forse, anche come persone. Potremmo inalare un bel po’ di ossigeno e magari andare e cercare, e a leggere, libri come quello di cui abbiamo parlato. Volumi non scontati, non banali, non rassicuranti, non “usa e getta”. Pagine che richiedono impegno, perché ti portano a spasso nel tempo, nella Storia, nei territori accidentati degli eventi che ti impongono una scelta, una collocazione esatta. Quei libri che ti mostrano persone come tante che hanno saputo dire io sono un uomo, un essere umano, quindi mi comporto da essere umano.

Non è facile prediligere libri come questo di Chiara Rossi. Ce ne sono tanto di più comodi, di quelli che leggi e che un secondo dopo ti scordi serenamente, e torni alla routine di sempre, intatto, inalterato. Ma una lunga nuotata fa bene. Lo abbiamo provato tutti, almeno una volta. Lì per lì manca il fiato, ma poi senti allargarsi i polmoni. E forse anche la mente. Magari, a volte, perfino il cuore.

Ivano Mugnaini

Eleanor Oliphant sta benissimo

 Eleanor Oliphant sta benissimo – Gail Honeyman

Persino gli alcolizzati meritano di essere aiutati, suppongo, anche se sarebbe meglio se si ubriacassero a casa loro, come faccio io, così da non provocare danni a nessun altro. Ma, del resto, non tutti sono ragionevoli e premurosi come me.

Il People ha definito questo libro commovente e saggio. Non potrei essere più d’accordo di così. Eleanor Oliphant e le sue stravaganze sono arrivate nella mia vita in un momento davvero particolare: dopo un’estate passata sempre al 1000%, dove il tempo per fermarsi a pensare era stato a zero e dove la mia capacità di concentrazione era al pari di quella di una suola, è arrivata Eleanor che mi ha dato l’input giusto per riprendermi un po’ di lentezza.

Eleanor è stata un’amica sincera, di quelle che hanno davvero paura di mostrarsi per quello che sono perché quello che sono è strano, complicato, a volte doloroso e quasi sempre incompreso. Ma la storia di Eleanor, che possiamo banalmente ricondurre ad un romanzo di formazione, è quella di una giovane donna che comincia ad accettare pian piano se stessa, che capisce di essere il frutto di tutte le esperienze passate e che quelle cicatrici che tanto l’hanno tormentata, quelle sulla carne e quelle sul cuore, sono parte di lei, ma non la definiscono come persona.

La trama del libro è semplice, la lettura davvero scorrevole. Quello che appassiona e convince è proprio il personaggio di Eleanor, tratteggiato in una maniera così sapiente. Bizzarra, tanto da sembrare irriverente alle volte, completamente incapace di rapportarsi al prossimo, del tutto chiusa nel suo piccolo bozzo. Il bello, e anche l’originale di questo romanzo, è che, mi vien da dire, una volta tanto non viene esaltato il cambiamento come punto di arrivo, bensì l’accettazione di se stessi. Siamo bombardati continuamente dall’idea di cambiare, di migliorare noi stessi. Ma non è forse accettarsi la sfida più grande? Certo è che nella vita si può sempre far meglio, ma non bisogna forse partire dal presupposto che anche le nostre crepe vanno bene, sono giuste, sono parte di noi. E non le possiamo continuamente combattere. Ecco, Eleanor Oliphant ci spiega questo: ci spiega come imparare a vivere accettando ogni parte di noi, anche quelle che ci fanno paura, e, nonostante questo, fare un passettino fuori dalla nostra zona di comfort.

Io questo libro ve lo consiglio vivamente.

Vi lascio anche il link per l’acquisto diretto qui: Eleanor Oliphant sta benissimo

Anna

La regina degli scacchi

 The Queen's Gambit

Beth Harmon arriva in un orfanatrofio femminile del Kentucky dopo aver perso la madre in un incidente. E’ una bambina un po’ schiva, ma molto intelligente: negli occhi ha una luce strana e diversa. Durante gli anni di permanenza all’orfanatrofio preferirà sempre la compagnia del signor Shaibel, il custode, che nel buio di uno scantinato le insegnerà le prime mosse degli scacchi.

Ben presto il signor Shaibel si renderà conto di avere di fronte a sè un portento e farà in modo che il talento di Beth non resti nascosto tra la polvere, ma che qualcuno la veda, giochi con lei e si renda conto della sua maestria fuori dal comune.

La bambina intanto crescerà, verrà adottata e andrà a vivere in una casa decente con una donna dolce, fragile, ma gentile e amorevole, la signora Wheatley, che saprà farle da madre, anche se spesso i ruoli delle due dovranno invertirsi.

La storia di Beth è una storia faticosa, di quelle per le quali ti verrebbe da pensare che a volte davvero piove sul bagnato. Ma è anche una storia di rivincita. Viene raccontata la dipendenza, quella che ti spoglia e ti prosiuga di ogni forza. Poi viene raccontato il riscatto: quella mossa che ti permette di tirare su il tuo culo dal pavimento nel quale stai steso da giorni, aprire le tende, lavare quei quattro piatti sporchi che sono nel lavello ad ammuffire, darti una sistemata, una truccata, mettere il tuo vestito bello e andare nel mondo a far vedere quanto in là si può arrivare quando non sabotiamo noi stessi.

Mi è piaciuta moltissimo questa mini serie: mi sono piaciuti particolarmente i personaggi del signor Shaibel e della signora Wheatley. Del primo ho apprezzato il profilo sempre dimesso, il suo rimanere sempre silenzioso spettatore della vita di Beth, ma anche il suo più grande fan. L’amore infondo non ha bisogno di grossi proclami quando ci sono i gesti a parlare.
Della signora Wheatley mi porto dietro la dolcezza: limitata forse, sicuramente sola e non apprezzata, ma anche estremamente generosa e piuttosto all’avanguardia per alcuni tratti.
L’interpretazione di Anya Taylor-Joy nel ruolo di Beth l’ho trovata superlativa: quegli occhi sono stati davvero capaci di esprimere la più piccola sfumatura delle emozioni; hanno trasmesso la pazzia, la vergogna, la gioia e la depressione. Sono sicura che per questa ragazza la strada sarà lunga e brillante.

Su Netflix trovate questa mini serie di 7 puntate creata da Scott Frank e Allan Scott: davvero consigliata. E’ tra l’altro tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis del 1983.

Altri titoli interessanti per affrontare il lockdown?

Anna

L’educazione

Di Tara Westover, Feltrinelli 2018

Ma capii una cosa: che se mi avevano chiamato Negra un miliardo di volte e avevo riso, adesso non potevo più ridere. La parola e il modo in cui Shawn la usava non erano cambiati; solo le mie orecchie erano diverse. Non sentivano uno scherzo. Quello che sentivano era un avvertimento, un richiamo che veniva da lontano, e che riceveva una risposta sempre più convinta: non avrei mai più accettato di essere un soldato in una guerra che non capivo.

L’educazione racconta la storia potente e violenta Tara Westover, la vera storia. Oggi Tara ha 34 anni, la sua opera prima, questa appunto, è stata un caso editoriale in vetta alle classifiche di mezzo mondo. La strada che ha percorso è narrata in queste 360 pagine nelle quali l’autrice ci racconta cosa ha significato nascere e crescere in una famiglia mormona, con un padre integralista e disturbato e una madre a volte comprensiva, ma più spesso rispettosa del suo prescritto ruolo sottomesso.

Vi lascio qualche immagine del Mormon Row Historic District che ho avuto la fortuna di visitare durante il mio ultimo viaggio negli USA. Quello che si vede oggi è ciò che rimane di un vecchio villaggio mormone ai piedi del Grand Teton National Park, in Wyoming. Davvero molto suggestivo. Io mi sono figurata in questi luoghi lo svolgersi delle vicende del libro.

Mormon Row Historic District – WY

Tara e i suoi fratelli vivono nelle montagne dell’Idaho, a Buck Peak, le loro nascite non sono state registrate all’anagrafe, non vanno a scuola, non sono mai stati fatti visitare da un medico. La loro vita è scandita solo dalle faccende: d’estate si aiuta il padre con la raccolta del ferro vecchio in discarica, altrimenti si aiuta la madre, ostetrica e guaritrice, nel preparare le sue soluzioni a base di erbe. Gene, il padre, una delle figure che più di tutte influenzerà la vita di Tara, è una sorta di tiranno che costringe la famiglia all’accumulo compulsivo di provviste, munizioni e quanto possa servire per affrontare i Giorni dell’abominio, l’Apocalisse. Shawn, il fratello maggiore, è un violento che non risparmia crudeltà nemmeno in famiglia. Un contesto tragico nel quale Tara si sente imprigionata, senza una via di fuga, senza una possibilità. Saranno diversi i momenti in cui proverà ad emanciparsi da questa situazione: un ragazzo nuovo, la partecipazione ad una rappresentazione teatrale, ma alla fine il suo senso di inadeguatezza la riporterà sempre tra le sue montagne.

Mormon Row Historic District – WY

La chiave di volta per Tara arriverà solo quando uno dei suoi fratelli maggiori abbandonerà la famiglia per iscriversi al college. Interrogandosi sulle sue possibilità, Tara troverà il coraggio di avvicinarsi allo studio. Non senza fatica cercherà di colmare i suoi vuoti: si troverà ad essere l’unica diciassettenne che in classe ignora completamente i fatti dell’Olocausto e delle Torri Gemelle.

Alla fine ce la farà, come nella più bella delle storie, Tara conseguirà una laurea alla Brigham Young University e vincerà la borsa di studio per un dottorato a Cambrige. La sua emancipazione passerà da un necessario quando doloroso taglio netto con il suo passato: una zavorra che non le avrebbe mai permesso di dispiegare le ali.

La potenza di questo libro si trova nel suo messaggio: la cultura ci può salvare, la cultura abbatte i muri e annulla le distanze. Il sapere rende forti, la conoscenza è il faro che deve guidare le nostre strade. Mai come oggi un libro del genere andrebbe letto e compreso: ci sarà sempre qualcuno che cercherà di cavalcare l’onda dell’ignoranza, del populismo e della disinformazione. Il mezzo per combattere queste dinamiche è il sapere, il pensare, il conoscere: avere uno spirito critico, informato, farà di noi persone più forti.

Tornando al libro, è un testo potentissimo, davvero interessante e ispirante. Il racconto però è pervaso di tantissimi passaggi violenti, crudeli, che non vi renderanno facile la lettura.

Vi lascio il link per l’acquisto.

A presto,

Anna

La donna di Gilles

Di Madeleine Bourdouxhe, 1937
Edizione Gli Adelphi, 2007

Questo libro, per me grande sorpresa, mi è stato consigliato. Devo dire che l’ho avvicinato con sospetto: è un mio grosso limite quello di non riuscire ad apprezzare le opere “datate”, siano esse libri o film. Mi trovo spesso affaticata, se non addirittura annoiata e, cosa forse peggiore, mentre tutti gridano al miracolo, io mi interrogo sulla mia inadeguatezza, domandandomi come mai a me certi classiconi proprio non comunichino niente. Fortunatamente però questa non è la storia di questo libro, ma solo la circostanza che mi ha poi permesso di apprezzarlo anche un po’ di più.

La donna di Gilles, scritto nel 1937, venne accolto come una vera rivelazione. La storia, per i temi affrontati e la sapiente scrittura, si colloca in un non-tempo: questa struggente vicenda d’amore potrebbe capitare anche oggi, senz’altro capiterà anche domani e proprio questa trasversalità ha conferito a questo romanzo la sua “immortalità”.

Elisa è la devota moglie di Gilles, prima ancora di essere una donna, una madre, Elisa è una moglie: il suo mondo inizia e finisce con suo marito. Se ora state aggrottando un sopracciglio, pensando a come possa esser riduttiva una vita se così intesa, bhè, penso che in realtà succeda più spesso di quando si possa immaginare. Elisa, dicevo, vive per Gilles, per accudirlo, servirlo, offrirsi a lui. La sua devozione è tale da spingerla ad accettare qualsiasi compromesso, da giustificare qualsiasi comportamento.

Quello che mi è piaciuto maggiormente di questo libro è il modo intenso e tragico con cui l’autrice riesce a descrivere la relazione: Elisa in trepidante attesa del ritorno del suo amato, Elisa languida che lo desidera, Elisa sofferente che lo scusa e lo conforta.
Tragicamente affascinante. Ve lo consiglio, indipendentemente da quelli che siano i vostri gusti in fatto di letture, questo breve romanzo saprà sicuramente lasciarvi qualcosa.

Esiste anche l’adattamento cinematografico: presentato nel 2004 al Festival di Venezia, sinceramente non ne ho mai sentito parlare. Se qualcuno avesse visto il film ci faccia sapere se è convincente quanto il libro!

Lo trovate a questo link in caso vi andasse di acquistarlo.

Anna

La casa delle voci

Di Donato Carrisi, 2019 edito da Longanesi

Bentrovati, miei cari. Avevo un pochino perso lo slancio verso la scrittura negli ultimi tempi, ma, fortunatamente, la ciclicità delle mie “fasi” mi riporta oggi qui a raccontarvi i miei aggiornamenti in tema di letture. Ho moltissimo materiale raccolto il questo ultimo periodo: parto con un thriller psicologico di Carrisi che penso possa infiammare non pochi animi.

Carrisi è uno degli autori italiani che preferisco: in alcuni romanzi lo definirei addirittura geniale. La sua prosa è sempre coinvolgente, ma quello che ti fa desiderare di continuare a girare le pagine sono le sue trame, sempre ricche di colpi di scena, sempre spettacolari. Si, io sono una fan delle esplosioni, dei capovolgimenti, degli intrighi, ma anche dei finali enigmatici, come se l’autore alla fine del libro volesse sussurrarti “Ma hai capito quello che ti ho appena raccontato?“…Geniale appunto. E no, non mi piace annoiarmi durante le mie letture e vi garantisco che questi libri possono essere molte cose, ma di certo non noiosi.

Dopo questo incipit non mi resta molto da dirvi del libro in questione: Pietro Gerber è uno psicologo infantile che si ritrova, suo malgrado, a prendere come paziente Hanna Hall, una giovane donna che soffre di amnesia retrograda, arrivata in Italia dalla lontana Australia per tentare di ricostruire un evento violento del suo passato.

La relazione che si instaurerà tra i due, ben lontana dall’essere quella canonica (e dunque legittimata) medico – paziente, diventerà via via più stretta. A tratti inquietante. Questa donna, estranea fino ad un attimo prima, conosce di Gerber dettagli e segreti così profondi da spaventarlo, ma, soprattutto, da ossessionarlo tanto da dedicare a lei ogni suo pensiero.

Non voglio rivelarvi altro perché cosa è successo veramente nella campagna Toscana di diversi anni fa è bene che lo scopriate voi stessi e che seguiate quel sentiero di briciole che vi condurrà all’inizio di questa storia, dove i destini di Hanna e Pietro hanno deciso di incontrarsi.

Vi lascio qui il link per l’acquisto del libro su Amazon se volete dare al libro una possibilità.

Fatemi sapere se lo avete letto e se vi è piaciuto. Io cercherò nei prossimi giorni di continuare a scrivere qualcosa sugli ultimi libri letti. Al momento sono alle prese con Carofiglio.

A presto.

Anna

Tolo Tolo

Ultimo film con Checco Zalone, all’anagrafe Luca Medici, ma anche primo che lo vede impegnato in regia. Inizialmente doveva essere diretto a quattro mani con Paolo Virzì, poi, durante i lavori di ripresa, il cambio di rotta.

Tolo Tolo, letteralmente solo solo, contiene tanti di quei tratti che ci vengono subito in mente quando pensiamo ai film di Zalone: il suo personaggio, l’italianotto mediocre, la sua macchietta tutta stereotipi e brutture nostrane, non mancherà nemmeno questa volta. Il desiderio di Zalone di strappare una risata, forse triste nel momento in cui disincantamente ci si rende conto di come stanno davvero le cose, resta immutato. Il modo di mettere in scena le più grosse problematiche sociali, politiche e umane del nostro paese, ma di farlo con un linguaggio che per una volta non parla ad una ristretta cerchia, ma parla al popolo, quel popolo che poi immancabilmente gli riempie le sale cinematografiche ad ogni proiezione, è sicuramente uno degli ingredienti fondamentali del suo successo.
Questa volta, però, la ricerca della risata, seppur presente, lascia spazio anche a momenti più profondi.

Checco, scappando dall’Italia per lasciarsi alle spalle innumerevoli debiti dei confronti dello Stato, migra in Africa. In un primo momento gli sembrerà di aver trovato il paradiso, fino a quando il villaggio nel quale si è rifugiato non viene attaccato dalle milizie. Dunque il nostro beniamino si vedrà costretto a scappare e lo farà insieme ad un gruppo di ragazzi che hanno deciso di investire tutto per affrontare “il grande viaggio” verso l’Europa. Con il suo solito aplomb, la sua apparente arroganza e superficialità, Checco ci mette a parte di cosa voglia dire affrontare il grande viaggio, delle difficoltà e delle condizioni inumane in cui queste persone si vedono costrette a vivere per inseguire il miraggio di una vita nuova, di un pasto sicuro e di una possibile speranza.
Ogni tanto il protagonista viene colpito da improvvisi attacchi di fascismo, come fossero colpi di sole, nei quali inizia a sentire nella testa la voce di un ipotetico Duce che lo incita e lo aizza. Anche questa è aspra frecciata ad un’italianità arcinota.

Il film colpisce un po’ tutti, senza distinzione. Merita senz’altro di essere visto, non fosse altro per l’importante tema che affronta. Restiamo umani, restiamo prima di tutto umani. Credo possa essere questo il messaggio dietro il film, o perlomeno è quello che a me è arrivato.
Forse farete qualche risata in meno rispetto a Quo Vado?, ma è ugualmente da vedere.

Immigrato – Il singolo che ha anticipato l’uscita del film

Anna

meet me alla boa

“Forse l’amore è questo, desiderare il bene dell’altro prima del proprio.”

Di Paolo Stella, Mondadori, 2019.

Libretto, devo dire, un libretto.

Franci conosce Marti a Parigi e avverte subito una chimica particolare: una donna spigliata, che gli tiene testa ed ha sempre la risposta pronta. Ci mette quattro secondi a capire che sarà la donna della sua vita e per sua fortuna verrà da subito corrisposto.

La storia racconta in trenta capitoli, che l’autore descrive come passi, il ricordo dell’amore dei due protagonisti: Marti muore pochi attimi dopo l’inizio del libro e Francesco, nell’andare all’obitorio per il riconoscimento, ripercorre attimi condivisi insieme.

Il tema che si propone di sondare è davvero altissimo: la perdita, che porta con sé sempre una mole incommensurabile di dolore, nostalgia, solitudine esistenziale, difficoltà. La perdita di un giovane amore poi, quando la vita ti strappa nel fiore dell’esistenza, quando tutto ancora è in divenire ed ogni giorno è una scoperta, appare ancora più devastante.
Il problema non sta nell’idea alla base del romanzo, bensì nel modo semplicistico con cui vengono illustrati i sentimenti. Riflessioni di questo tipo sono pressoché universali, ma se vogliamo raccontare l’amore e la morte dobbiamo fare uno sforzo in più di introspezione, non possiamo rifilare frasi da diario di scuola.
Anche il ritratto che viene fatto di questo amore è stereotipato, così da “cioccolatino”, con dialoghi che nella vita reale non avverrebbero mai, con un indice glicemico troppo alto persino per me, che sono un’inguaribile romantica.

La scrittura non è complessa, talvolta vengono riportate frasi prese direttamente dal parlato e non riadattate alla prosa. Lo stile è vario, nel senso che varia più volte all’interno del testo, quasi come in una sorta di sperimentazione: un accrocchio si direbbe dalle mie parti.

Non conoscevo Paolo Stella, mi sono documentata velocemente su Internet dopo aver letto il libro. Ha partecipato ad Amici, è un influencer, blogger, attore ecc… Sul web si può leggere praticamente un’ode al suo romanzo: è un libro scritto per il suo pubblico.
Sinceramente non lo consiglierei a chi cerca un buon libro da leggere.

Se il libro vi interessa lo trovate in ogni caso qui.

Anna

Il silenzio dei miei passi

Di Claudio Pelizzeni, Sperling & Kupfer, 2019.

Non vorrei essere ripetitiva nel raccontarvi chi è Claudio Pelizzeni e quello che fa, vi lascio il link all’articolo che ho scritto sul suo precedente libro “L’orizzonte, ogni giorno, un po’ più in là” così potrete meglio capire da dove nasce questo nuovo capitolo della sua storia.

Quella di Claudio è un racconto di atti di coraggio: quello di mollare un lavoro a tempo pieno per affrontare la sfida di un viaggio attorno al mondo. Ora, invece, quello di affrontare il Cammino di Santiago, rivisitandolo in una veste tutta sua: parlo del numero dei chilometri, che si moltiplicano se partiamo da Bobbio, piuttosto che da una delle partenze classiche del Camino, ma parlo soprattutto dell’urgenza di intraprendere questo viaggio facendo voto di silenzio, per rimettersi all’ascolto delle persone, della natura e di se stessi.

Bobbio – Santiago

Da questa immagine potete rendervi conto di come siano dislocati sulla cartina i punti di partenza e arrivo di questo pellegrinaggio: i km realmente compiuti da Claudio sono stati 2189 in 72 giorni di cammino. Nelle tappe brevi percorreva circa una ventina di chilometri al giorno, quelle lunghe ne hanno contati anche più di 40: molte decisioni sulle soste intermedie sono dipese dalle condizioni meteorologiche non sempre favorevoli nella stagione autunnale, da quelle fisiche perché certe mattine piedi e ginocchia non ne volevano proprio sapere di collaborare o ancora dall’approvvigionamento di acqua e viveri o dall’apertura degli albergues, ormai chiusi in gran parte visto l’arrivo dell’inverno.

Passo dopo passo Claudio ci racconta di quello che vede, esplorando cattedrali gotiche in caratteristici paesini, perdendosi tra i boschi degli appennini o precorrendo la pianura delle Meseta, ma soprattutto ci racconta delle persone che incontra e di come queste, forse proprio per il fatto di essere sul Cammino, siano aperte al suo silenzio, incuriosite e affascinate. Aver intrapreso questo viaggio con il desiderio di ascoltare ha fatto sì che le persone trovassero la voglia di raccontarsi e così, km dopo km, il pellegrino solitario che era partito dalla Val Trebbia si ritrova circondato da un gruppo di persone con le quali deciderà poi di continuare a camminare e condividere dunque una delle esperienze più plasmanti della vita. “Che lo si chieda o no, quando si è sul Cammino si è in qualche modo protetti.”

Personalmente adoro la letteratura di viaggio: trovo che sia come scoprire davvero certi luoghi. Da queste pagine mi è parso di poter scorgere gli alberi che si tingevano di arancio e giallo man mano che i giorni passavano, si sentiva l’umidità dei giorni di pioggia incessante. I viaggi parlano, i viaggiatori parlano. Questo è molto più del racconto di un viaggio: è ispirazione affinché ognuno possa pensare al proprio personale cammino. Che sia verso Santiago non importa, l’importante è che sia verso se stessi.

Vi raccomando di seguire Claudio nelle sue esperienze attraverso il suo blog ( Trip Therapy ) e anche su tutti i canali social. Da poco insieme ad un gruppetto di altri travel blogger ha lanciato il tour operator Si Vola con tantissime destinazioni fichissime, consiglio vivamente un giro sul sito per farvi un’idea.

Se volete invece acquistare il libro, il link è qui.

Anna

Il ladro gentiluomo

Il ladro Gentiluomo

Di Alessia Gazzola, Longanesi, 2018.

Vincitrice del Premio Bancarella 2019, Alessia Gazzola si conferma una delle scrittrici più apprezzate del panorama italiano.

Il ladro gentiluomo è solo l’ultimo della serie di fortunati romanzi che raccontano le vicissitudini di Alice Allevi, interpretata da Alessandra Mastronardi nella serie tv “L’Allieva“. Alice, primo personaggio uscito dalla penna di Alessia Gazzola, resta il mio preferito: fresca e divertente, un giusto mix di goffaggine, sfiga, tenacia, umiltà e forza. A volte diventa un pochino caricaturale, ma tendenzialmente è una figura femminile divertente e intraprendente.

Il giallo ruota intorno alla misteriosa sparizione di un famoso diamante che viene ritrovato nello stomaco di un cadavere diversi anni dopo. Non vorrei risultare impopolare, ma non è mai la vicenda criminosa quella che mi spinge alla lettura di questi romanzi: Alice Allevi è un personaggio che ho seguito fin dalla sua nascita, è un po’ come se le fossi affezionata. Voglio sapere se alla fine riuscirà a trovare o meno la sua stabilità finanziaria, ma soprattutto emotiva. 

Sono tanti altri i personaggi femminili che Alessia Gazzola sta pian piano portando nelle nostre case: qualche anno fa ci aveva raccontato la storia di Emma, stagista in una casa di produzione cinematografica, in cui tutte noi, con un lavoro precario, ci eravamo un po’ immedesimate (vi lascio il link del mio articolo ). In tempi più recenti c’è stata Lena (Lena e la tempesta) ed ora Costanza (Questione di Costanza): ancora non conosco queste donne. Se qualcuno di voi sa darmi qualche feedback, è senz’altro ben accetto.

Tornando ad Alice…adesso uscirà dai nostri radar per un po’ quindi chi non avesse mai letto nulla di questa fortunata serie avrà tutto il tempo per rimettersi in pari.

Vi lascio il link per l’acquisto diretto qui: spolliciate! Anna